lunes, 17 de diciembre de 2012

SHOCK CULTURALE. Quando partire è un pò morire


Il “faccio le valigie e me ne vado” può esser frutto di entusiasmo o di rabbia (un amore finito da cui fuggire o uno nuovo da rincorrere), di delusione o di noia (necessitá vitali e professionali non soddisfatte nel proprio paese) o di curiosità (voler mettersi alla prova in un altro contesto).Emigrare è  comunque una ricerca, ma anche una rinuncia e, quando ce ne accorgiamo, iniziamo a danzare in un’altalena di stati d’animo che spesso ci disorientano.

Emigrare si trasforma quindi non solo in un’esperienza ma anche in un processo.
Per capire meglio le fasi di questo processo partiamo dal concetto stesso di Emigrante.
Emigrante: colui che va via dalla propria patria.
Patria: la terra dei Padri.
Padre: Colui che protegge, nutre, , mantiene e sostiene la famiglia.
Non c’è da stupirsi quindi se, dopo una prima fase di euforia dovuto ad uno slancio di indipendenza o novità ci si trovi di fronte a quello che Oberg definì shock culturale.
Tale shock e' causato infatti dalla "ansia che deriva dalla perdita di tutti i nostri segni familiari e simboli dei rapporti sociali”.
"Quando un individuo entra a far parte di una cultura straniera", scrisse Oberg, "tutti o la maggior parte di questi segnali familiari sono stati rimossi. La persona si sente come un pesce fuor d'acqua. Non importa quanto sia di larghe vedute o pieno di buona volontà, una serie di sostegni vitali per il suo equilibrio cederanno rapidamente sotto ai suoi piedi".
Da ciò non dobbiamo in nessun modo dedurre che andare a vivere all’estero debba necessariamente tradursi in un’esperienza traumatica! È interessante, in tal senso, conoscere quali sono le fasi che attraverseremo, prima di arrivare a sentirci integrati in una nuova realtà.

Oberg descrive 5 fasi:
1º: Eccitazione. I primi mesi di vita all'estero sono per cosi' dire un periodo di luna di miele in cui tutto è nuovo, emozionante ed affascinante. Ci lasciamo coinvolgere da tutti gli stimoli nuovi che ci circondano e ne siamo entusiasti e soddisfatti: abbiamo fatto la scelta giusta andando a vivere all'estero! 

2º: Rifiuto. Tutto l’entusiasmo dell’inizio poco a poco si affievolisce cosi’ come le nuove eccitanti ed affascinanti esperienze. Si torna con i piedi per terra e si inizia a dover affrontare le piccole e grandi difficoltà della routine quotidiana.
Improvvisamente si inizia a scoprire che il modo di fare le cose in quel luogo (costumi sociali, professionalmente, orari, ecc.)  possono differire, a volte molto, dal proprio. Il tempo libero è frustrante, perché ogni svago deve essere svolto usando un'altra lingua. Non ci sono i luoghi affezionati dove andarsi a distrarre, inizi a provare un senso di noia nello spendere giornate con persone che non puoi capire del tutto o dalle quali non puoi farti comprendere del tutto. 
Anche la nostra identità si vede compromessa. Ad esempio i primi tempi ci sarà difficile incluso fare delle battute, sia perchè linguisticamente non dominiamo la nuova lingua sia perchè il senso dell’umorismo in quel luogo può essere molto diverso. 
Iniziano cosi' ad aumentare le difficoltà nell'adattamento, convincendosi che nessuno e' d'aiuto nel superare questo tipo di stress. Addirittura ci si convince sempre più che le persone non siano in grado di capire questo malessere, o che ne siano in alcun modo interessate.
Questo a sua volta innesca una certa ostilità al nuovo ambiente. Si comincia cosi' ad odiare il paese ospitante e tutto ciò che ad esso è collegato. 

3º: Regressione. Una volta che ci si avvia a respingere la cultura ospitante, è molto più difficile tornare sui proprio passi. Si può decidere di provare un nuovo approccio, con un bel sorriso in volto e sforzandosi di cambiare il proprio atteggiamento. Oppure si sceglie di percorre un'altra strada, più semplice, che purtroppo percorrono in molti in questi casi: la chiusura in se stessi. 



Alcuni sintomi del fallimento di integrazione e accettazione del nuovo ambiente?
il rifiuto di continuare ad imparare la lingua locale,
di fare amicizia con la gente del posto, 
di fare qualsiasi attività che possa portare maggiore interesse verso la cultura locale
rinunciare ad un lavoro qualificato se questo richiede uno “sforzo in più” (adattarsi ai modi di lavorare e rapportarsi di un paese, approfondire la nuova lingua, ecc.)

 Seguendo questo percorso, l'individuo tende a crearsi inconsapevolmente delle trappole. Un esempio lo si rintraccia facilmente nell’atteggiamento nei confornti del “nuovo”  mondo del lavoro: per il lavoro corrispondente alla mia formazione ed esperienza è necessario dominare abbastanza bene la nuova lingua... mi rifiuto di mettermi a studiare dopo tutto quello che ho già studiato!; mi tratteranno come se fossi appena sbarcato nel mondo del lavoro, quando io ho diversi anni alle spalle... piuttosto vado a lavorare in un call-center!
Un’altra trappola che ci si tende è l’auto-isolamento, facendo crescere dentro si sè il senso di antagonismo nei confronti della gente del luogo. Si andrà alla ricerca di simili, che nutrono le stesse sensazioni per poter attaccare la cultura locale, senza rendersi conte che il problema potrebbe risiedere da un'altra parte.

Con il passare del tempo, si e’ sempre più di fronte ad un bivio: scegliere di restare o ritornare in patria?
Dubbio questo, che si accentua ancor di più in quei casi, molto frequenti, in cui l'"emigrante" ha seguito il cuore, ovvero si è trasferito per stare accanto all'amore della sua vita. Ma come in molte favole, non sempre la storia finisce bene e ci si trova a dover elaborare un lutto, prima, e cercare un nuovo senso alla nostra permanenza all'estero poi.

4º: Accettazione. Se si supera la fase 3, e quindi si sceglie di restare, la strada per il superamento dello shock culturale tende ad essere in genere più agevole.

Una volta superata questa fase, ci si ritroverà a sorridere o ridere di alcune delle cose che hanno causato tanto dolore in partenza. Quando questo accade, si e’ sulla strada dell'accettazione. Quando ci si inizia ad ambientare verso la cultura, la lingua ed i costumi locali, l'autostima e la fiducia ritorneranno. L’affetto per la nuova casa passera’ da accettazione riluttante ad affetto genuino. Si potrà finalmente capire che non è tutta una questione di "li' e’ peggio o meglio di qui".
Ci sono diversi modi di vivere la proprio vita e nessun modo è davvero meglio di un altro. E' solo diversa da come la si viveva prima.

5º: Rientro. Quando il periodo all’estero sta per concludersi, si inizia a pensare come sarà bello ritornare in un ambiente familiare, nuovamente tra amici e parenti e tutte le attività che si amavano fare.

Bisogna pero' sottolineare il fatto che i primi tempi si era costretti a vivere in un posto a proprio dire inospitale, che poi lentamente si e’ iniziato ad amare, probabilmente affrontando le proprie convinzioni di lunga data e di atteggiamenti che gradualmente sono stati via via sostituiti a dei nuovi valori e ideali.

Proprio per quello che si e' appresso durante tutto quel periodo di assenza, le nuove abitudini, il nuovo stile di vita, l'aver accettato la nuova versione di se in un paese straniero, porta nuovamente a delle difficoltà nel far ritorno alla vecchia casa. Ci vorrà un po' per riprendersi con la cultura di origine, ed e’ bene concedersi un po’ di tempo per riadeguarsi nuovamente al vecchio ambiente, prima di ritornare alla vita di sempre.
Ma questa volta sarà possibile ridurre al minimo lo shock del rientro, solo se si avrà coscienza delle proprie reazioni e, soprattutto, prendendo le cose con un atteggiamento più positivo. 

viernes, 30 de noviembre de 2012

PRIMA VISITA GRATIS durante il mese di DICIEMBRE

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martes, 6 de noviembre de 2012

ABILITÀ SOCIALI



In APP queste è il mese delle COMPETENZE SOCIALI.

Inizia un nuovo ciclo di Terapia di Gruppo con questo tema.

Contattaci e ti informeremo!

lunes, 8 de octubre de 2012

A COSA SERVE LA TERAPIA DI COPPIA?


Quando si parla di una coppia in termini di "relazione sentimentale" comprendiamo anche termini quali amore, comprensione, entusiasmo, attenzione, comunicazione, sessualità, ecc. Ma cosa succede quando non tutto è così roseo e le speranze e i sogni risposti in una relazione d'amore non si realizzano come previsto o immaginato? In molti casi, la frustrazione e la delusione possono mettere in grave rischio la stabilità emotiva e relazionale di ciascuno dei partner, e quando il conflitto arriva a riversarsi sui figli la situazione  è spesso più delicata.
Quando si verifica una crisi nella coppia, il rapporto può andare in due direzioni diverse: uno di loro è imparare e maturare attraverso quest'esperienza, ma nei casi più gravi si ponnono verificare conflitti e lotte di un membro la coppia contro l'altro, con l'inevitabile inizio di un circolo vizioso auto-distruttivo.

La crisi nel rapporto può sfociare in problemi quali:    
  • La gelosia e la diffidenza
  • Litigi
  • Problemi Fisici, psicologici ed economici
  • Problemi sessuali
  • Problemi riguardanti la genitorialità
  • Problemi di autostima
  • Disinteresse e l'apatia nel rapporto
  • Infedeltà


In tutti questi casi, la terapia di coppia è un ottimo alleato per comprendere quali sono i modelli sbagliati di ciascuna delle parti, modelli che non permettono il progresso e il superamento della crisi. Individuando e aomprendendo questi modelli erronei se ne possono generare altri sani, modelli positivi che favoriscono la crescita e la maturazione del rapporto.

In molte occasioni quando una coppia deve chiedere aiuto, è spesso l'ultima occasione che si danno per  decidere se rimanere insieme o optare per il divorzio. In realtà sarebbe più raccomandabile richiedere l'aiuto di uno specialista all'apparizione dei primi primi segni di disagio o conflitti che si reiterano, per prevenire danni o problemi che poi sono più difficili da risolvere o superare.

In APP Atención Psicológica y Psicoterapéutica, abbiamo terapisti esperti con una vasta esperienza nel campo della terapia di coppia, che attraverso un approccio psicologico chiamato "terapia centrata nella soluzione" fornisce gli strumenti necessari per cercare di risolvere i problemi di coppia. 


Domande frequenti:

"Dobbiamo andare il mio compagno/a e io in terapia?"
Di solito è consigliabile che i entrambi assistano alle sedute di terapia. Un elemento fondamentale per il successo di una terapia è che entrambi i partecipanti siano motivati, nel caso contrario è meglio che assista solo uno dei due.

"Quante volte bisogba andare in terapia?"
Le sessioni devono essere una volta alla settimana, per generare risultati ottimali.

"Quanto dura il trattamento?"
Dipende dal problema e dal fatto se è recente o cronico, dalla motivazione dei partecipanti alla terapia e dalla loro collaborazione nell'applicare fuori dalla terapia ciò che viene raccomandato dal terapeuta.

"Quanto dura ogni sessione?"
Le sessioni possono durare 1 o 2 ore, a seconda del caso. È possibile che, inizialmente, quando entrambi i partner hanno bisogno di spiegare la loro visione della situazione, si richiedano sessioni di 2 ore. 

jueves, 10 de mayo de 2012

Cosa succede quando abbiamo l'ansia?


L'ansia è un fenomeno emotivo particolarmente complesso e multidimensionale. Complesso perché presuppone l'attivazione di variabili simultanee, e multi-dimensionale perché si stabiliscono connessioni tra vari tipi di risposte individuali.

 Ci sono 4 tipi di risposte:
  • soggettiva (quello che la persona spiega durantele sedute di psicoterapia, questionari, ecc.)
  • cognitive (si riferiscono ai nostri pensieri)
  • fisiologica (sintomi, fra cui i più comuni sono: tachicardia, sudorazione, palpitazioni, iperventilazione, vertigini, ecc.)
  • comportamentale (cosa facciamo, le nostre reazioni e comportamenti).

Tutte queste risposte, se si attivano contemporaneamente, provocano dei cambiamenti  a livello della nostra sfera emotiva in grado di attivare uno stato di tensione. In queste circostanze ci sentiamo in un costante e potenziale stato di pericolo. È come se la persona che sperimenta uno stato di ansia avesse una sorta di sistema di allarme ipersensibile permanentemente attivo. 

Questo meccanismo finisce spesso per generare un circolo vizioso:

ANSIA ---> STIMOLI INTERNl ---> PAURA  DELL’ ANSIA ---> ANSIA (ANTICIPATORIA)

Una risposta cognitiva inappropriata genera quindi una risposta comportamentale che risulta anch’essa in appropriata, entrambe incidono sulla sfera emotiva della persona in modo significativo.
Quando la persona sperimenta uno stato di'ansia si hanno pensieri negativi, incorretti, strani e anomali.
Quando sentiamo l'ansia abbiamo la tendenza a pensare in termini catastrofici, ad elaborare le informazioni in modo distorto, perdiamo la capacità di valutare in modo prospettico, pensiamo in termini di sì-no e anticipiamo pericoli ... anche il pericolo di essere ansioso.
L’ansia è dunque una risposta inappropriata basata su una valutazione non equilibtata del grado di pericolo, con una perdita del controllo di noi stessi.

(Articolo di Sonja Sampaolesi Psicologa di APP Barcellona)

lunes, 7 de mayo de 2012

UNA AYUDA PARA PAPÁ Y MAMÁ



     ESCUELA DE PADRES
PONER LIMITES: UNA FORMA DE DAR AMOR Y EDUCAR A NIÑOS SANOS Y RESPONSABLES     
Poner límites es dar seguridad y fomenta la adquisición de habilidades sociales eficaces.                                                   
                                                               


                
                                                               
DEPRESION POSTPARTO  
SER UNA MAMÁ FELIZ: MI BIENESTAR SERÁ UN ACTO DE AMOR PARA MI HIJO
Grupo terapéutico de madres que necesitan un apoyo para superar sus dificultades y quieren aprender a disfrutar de su bebé.

                         
                     

Grupos abiertos, mínimo 5 personas.
Sesiones semanales de 1 hora y media. 
Para más informaciones y reserva de plaza, contactar con 
Sonja Sampaolesi T/608.236.042 info@serviciosapp.com www.serviciosapp.com c/Betran, 2 08023 Barcelona



En APP Atención Psicológica y Psicoterapéutica disponemos de más servicios: Terapia Individual, de Pareja, Familiar y de Grupo. Ciclos de Talleres temáticos. ¡Infórmate!

miércoles, 2 de mayo de 2012

LABORATORIO PER GENITORI

DARE LIMITI: UN MODO DI DARE AMORE E CRESCERE FIGLI SANI E RESPONSABILI  



Dare limiti è dare sicurezza e promuovere l'acquisizione di abilità relazionali efficaci.
Questo Gruppo Terapeutico è rivolto a tutte quelle persone (padri, madri, nonni, tutori, ecc.) che non sanno come affrontare il diffcile compito di educare. 
In queste riunioni i partecipanti avranno la possibilità di esporre difficoltà e problematiche relative ai propri figli in un contesto di assoluta confidenzialità. La terapeuta farà da mediatrice per favorire una corretta interazione fra i membri del gruppo e fornirá gli strumenti per mettere in pratica tecniche educative che creino la base di un rapporto genitori-figli sano


OBIETTIVI della SCUOLA PER GENITORI:
  • Condividere e scambiare problematiche e riflessioni.
  • Acquisire risorse e strumenti per educare i figli in modo sano
  • Portare a termine un processo di apprendimento per i genitori, in uno spazio educativo
  • Sviluppare strategie e comportamenti che favoriscano l'autostima di genitori e figli 
  • Potenziare la capacità di influenza attraverso la coerenza
  • Fornire strumenti di comunicazione per ascoltare e capire i nostri figli 
  • Apprendere estrategie che favoriscano la collaborazione


FORMATO:

Anche se lo si definisce Laboratorio o Scuola per Genitori, in realtà queste riunioni verranno strutturate come un vero e proprio "Gruppo Terapeutico". Educare i figli è anche ri-educare noi stessi e a tale scopo non è sufficiente apprendere delle tecniche, ma è inoltre necessario condividere esperienze, individuare i nostri errori e comprenderli per acquisire una prospettiva nuova e migliore. 





Gruppo aperto, minimo 5 persone.
Sessioni settimanali (1 ora e mezza).
 
Per ulteriori informazioni e prenotazioni, potete mettervi in contatto con  Sonja Sampaolesi  
T/608. 236. 042
c/Bertrán, 2 08023 Barcelona



TALLER PARA PADRES

PONER LIMITES:  UNA FORMA DE DAR AMOR Y EDUCAR A NIÑOS SANOS Y RESPONSABLES



Poner limites es dar seguridad y fomenta la adquisición de habilidades relacionales eficaces.
Este Grupo Terapéutico está dirigido a todas aquellas personas (padres, madres, abuelos, tutores, etc.) que no saben cómo enfrentarse a la difícil tarea de ser padres.
En estas reuniones los padres tendrán la posibilidad de exponer dificultades y problemáticas en relación a sus hijos en un ambiente de total confidencialidad. La terapeuta mediará las interacciones entre los miembros del grupo y proporcionará herramientas para poner en práctica pautas educativas que creen la base para una relación sana padres-hijos.

OBJETIVOS de la ESCUELA DE PADRES:
  • Intercambiar problemáticas y reflexiones.
  • Adquirir recursos y herramientas para educar a los hijos en modo sano
  • Llevar a cabo un proceso de aprendizaje para los padres, en un espacio educativo
  • desarrollar estrategias y actitudes que fomenten la autoestima para padres e hijos
  • Potenciar la capacidad de influencia a través de la coherencia
  • Brindar herramientas de comunicación para escuchar y entender a nuestros hijos
  • Aprender estrategias que fomenten la colaboración


FORMATO:
Aunque se le denomine Taller o Escuela de Padres, en realidad estas reuniones se estructurarán como un verdadero "Grupo Terapéutico". Educar a los hijos es también re-educarnos a nosotros y con este objetivo no es suficiente aprender técnicas, sino además es necesario compartir vivencias, detectar nuestros errores y comprenderlos para un enfoque mejor. 


Grupo abierto, mínimo 5 personas.
Sesiones semanales (1 hora y media).
 
Para más información y reserva de plaza, contactar  con Sonja Sampaolesi  
T/608. 236. 042
c/Bertrán, 2 08023 Barcelona





sábado, 28 de abril de 2012

L'IPERCONNESSIONE CI IMPEDISCE DI LAVORARE BENE


Boom. Troppo connessi e informati, non riusciamo più a lavorare?

Sempre più informazione e comunicazione, ovunque siamo, non è sempre un vantaggio, soprattutto quando dobbiamo fare qualcosa. Se grazie alla rete e ai dispositivi mobili non dobbiamo rimanere ostaggi del nostro ufficio per lavorare, è anche vero che proprio questa iperconnessione produce un sovraccarico informativo e una frammentazione che paradossalmente può impedirci di lavorare – e, magari, anche di vivere.

La questione dell’information overload sta diventando un serio problema produttivo per molti. Atos, ad esempio,  ha deciso di eliminare le email interne dopo aver scoperto che ogni dipendente spendeva 20 ore ogni settimana per leggerle – e solo il 10% di esse erano realmente importanti.
Ora la rivista inglese Legalweek pubblica i risultati di un sondaggio secondo cui i soci di studi legali farebbero sempre più fatica a gestire il sovraccarico informativo dei media digitali. Quasi il 90% degli intervistati lo ritiene “una sfida” e il 53% ritiene che sia molto difficile da vincere. Il 34% afferma che ciò danneggi la produttività dei partner e il 59% che il ‘multitasking’ e la gestione di molteplici richieste aumenti il livello di stress, mentre il 41% afferma che per questi motivi è sempre più difficile delegare al personale più giovane.
L’indagine di Legalweek illustra il problema molto chiaramente. Da un lato ci sono i clienti, che hanno a loro disposizione molti più canali per entrare in contatto direttamente gli avvocati e, data l’immediatezza di email, chat e social network, pretendono risposte altrettanto immediate. Dall’altro gli stessi colleghi, che secondo molti intervistati sarebbero una minaccia ancora più pericolosa per la tendenza a utilizzare indiscriminatamente l’email: “Internamente, l’informazione scorre per sua natura verso l’alto,” dichiara Ian Gray dello studio legale Eversheads “perché la gente ti include nei destinatari delle email per ogni sorta di ragione. Le aziende fanno di tutto perché le informazioni importanti non rimangano sommerse, ma mi ritrovo spesso a dover respingere email inutili e a tentare di limitare i dati che ricevo.
Questo ingorgo affoga le informazioni realmente rilevanti, che spesso sono perse all’interno degli stessi messaggi, nascoste nell’ultimo capoverso o dilaniate nel corpo del testo.
Tutto ciò dovrebbe indurci ad alcune riflessioni. Si è parlato molto delle potenzialità dei media digitali, che accelerano la quantità, ma non necessariamente la qualità della comunicazione, perché quest’ultima dipende non tanto dal mezzo quanto da chi lo utilizza e dalla sua consapevolezza di ciò che fa. E qui mi viene spontaneo un paragone, che potrà sembrare cruento, ma lo ritengo efficace.
Secondo Konrad Lorenz, l’uomo perse del tutto le naturali inibizioni all’omicidio quando inventò ordigni capaci di uccidere a distanza: premi un bottone qui, e in qualche luogo, a volte non sai nemmeno dove, qualcuno muore. Eccolo, l’altro lato della tecnologia:più un’azione diventa comoda e a distanza, più tendiamo a perdere cognizione delle conseguenze, a perdere di vista il nesso causale tra un gesto così semplice e l’effetto che può generare.
Così, comunicare è diventato talmente facile e immediato da indurci a farlo a sproposito e compulsivamente sugli argomenti più disparati e spesso triviali (vedi alla voce Twitter) e anche quando dobbiamo trasferire informazioni importanti omettiamo di riflettere sulle reali esigenze di chi sta dall’altro capo. Ad esempio, che non saremo i soli, nello stesso momento, a bombardarlo con le nostre informazioni e le nostre richieste.
Tutto ciò, sinceramente, è poco umano.
Qual è la soluzione? Da anni mi occupo di queste problematiche, con Giovanni Acerboni, e di metodologie pevalorizzare le informazioni rilevanti in funzione del destinatario, una sorta di ecologia della comunicazione che ha prodotto ottimi risultati. Ma sarebbe necessario un cambio di mentalità, orientando la visione della tecnologia in funzione delle reali esigenze umane, invece di considerare l’uomo come appendice del social network o dei nuovi occhialini di Google.
Perché internet non è il monolite di Odissea nello spazio, non è in grado da sola di instillare l’intelligenza negli ominidi.
Più informazioni ho a disposizione, più ho capacità di compiere delle scelte consapevoli? In teoria, una teoria da laboratorio, questo può funzionare. Nella pratica, dove le variabili sono infinite, l’informazione a pioggia, senza intelligenza, produce la paralisi.
Fonte (www.farsileggere.it , articolo di Francesco Vignotto)

Educare i figli: un compito importante



domingo, 22 de abril de 2012

Grupo Terapeutico Depresión Postparto



GRUPO TERAPEUTICO 
            DEPRESION POSTPARTO


Terapeuta Sonja Sampaolesi

APP Atención Psicológica y Psicoterapéutica



 
El embarazo, el parto y el postparto son periodos muy especiales para la mujer, que suelen caracterizarse por cierta vulnerabilidad. Es totalmente normal que la recién mamá se sienta desbordada al tener que enfrentarse a toda una serie de cambios, tanto a nivel físico, como emocional y social. 
Cuando todas estas novedades suponen para la mujer un estado de sufrimiento que conlleva problemas personales, de pareja o familiares estamos ante una condición patológica denominada Depresión Postparto.
Ésta se puede presentar de forma más o menos grave. Con la ayuda de un tratamiento terapéutico puede ser una condición transitoria, de lo contrario podría convertirse en un estado de malestar crónico.  




La TERAPIA DE GRUPO permite a las mamás:
  • Reducir el aislamiento
  • Recibir información sobre la depresión postparto y el postparto en general (psicoeducación)
  • Sentirse comprendida y valorada
  • Centrar la atención en sí misma y en sus necesidades básicas
  • Tener más esperanzas en el futuro
  • Intercambiar recursos para enfrentarse a esta situación



Grupo abierto, mínimo 5 personas.
Sesiones semanales de 1 hora y 1/2.
Precio: 120€/mes (4 sesiones)

Para más información y reserva de plaza, contactar  con Sonja Sampaolesi  T/608. 236. 042 info@serviciosapp.com c/Bertrán, 2 08023 Barcelona www.serviciosapp.com






jueves, 19 de abril de 2012

Lutto normale e lutto complicato: come distinguerli?



Il lutto è un processo in parte naturale, come la morte stessa, e in parte è il frutto di una necessità evolutiva che ci “obbliga” ad interrompere i vincoli di attaccamento con le persone importanti per noi.

La perdita di un relazione basata su uno stretto vincolo affettivo,  rappresenta una sfida molto dura per  il nostro adattamento come esseri umani. Generalmente, la nostra risposta a questa separazione definitiva è rappresentata da un insieme di reazioni  definite stress da separazione: pianto, certo disordine comportamentale, mancanza della persona cara, inquietudine, insonnia, l’inappetenza, tensione muscolare, in alcuni casi incluso  mancanza di respirazione, tachicardia, disturbi digestivi, etc.

Anche se questi sintomi mettono a dura prova il nostro equilibrio, nonchè il nostro benessere, ciò che rende complicata l’elaborazione di un lutto è che gli esseri umani tendono a cercare un significato nel fenomeno della  morte. Quest’ultima infatti diventa, non solo un fatto puramente biologico al quale ci dobbiamo sottomettere, ma anche un catalizzatore per la costruzione di nuovi sognificati.
L’essere umano ha la tendenza ad organizzare le proprie esperienze in modo “narrativo”, ovvero ci costruiamo spiegazioni che possano dare un senso alle transizioni problematiche della nostra vita. Nel caso di un lutto, cerchiamo di darci una spiegazione a questa perdita che possa essere coerente con il nostro sistema di credenze e che possa mantenere un senso di continuità con la persona scomparsa. Però la morte mette a dura prova la nostra capacità di costruire una narrativa coerente.

 Senza dubbio, il lavoro più difficle è quello di acquisire una nuova visione della nostra vista che integri la perdita della persona cara con la realtà di un mondo che ormai per noi sarà diverso, poichè tutto il nostro mondo di significati verrà messo alla prova da questa perdita. Inizierà quindi un processo, in alcuni casi lungo e doloroso, che concluderà con la conferma o la distruzione e ricostruzione dei nostri schemi mentali.

Questi schemi mentali non si riferiscono solo al nostro modo di intendere il mondo, la vita e le relazioni, ma include anche l’idea che abbiamo di noi stessi. La perdita di una persona cara, suppone non solo la mancanza di un affetto, ma anche di un “testimone” intimo del nostro passato (partner, genitori, fratelli, nonni, amici), il che può arrivare a minare fortemente la nostra auto-definizione. La stessa cosa accade in quei casi in cui si perde un figlio, ovvero un “testimone del nostro futuro”. La percezione è che oltre alla perdita di un affetto c’è la perdita di un ruolo.  Ci troviamo di colpo a dover occupare un luogo nuovo nel mondo, con un senso nuovo.


Ulteriori complicazioni si hanno nei casi di morti traumatiche che alterano “l’ordine naturale” (morte di bambini, giovani, suicidi, omicidi). A rendere ancora più difficoltoso il ri-adattamento del sopravvivente sono i ricordi associati all’episodio della morte, che assumono la forma di immagini, sensazioni ed emozioni dissociate e frammentarie. Il risultato è una certa suscettibilità  a ricordi intrusivi alternati all’evitazione degli stessi, che possono perdurare incluso per anni e che facciamo fatica ad integrare nella narrativa coscente della  nostra vita. È inoltre possibile che quest’esperienza traumatica distrugga permanentemente il nostro senso di sicurezza, predizione, fiducia e ottimismo.

Un LUTTO NORMALE è un processo che generalmente passa per tre fasi:
  1. Evitazione: come reazione alla difficoltà di assimilare l’idea della perdita di un essere caro. Si manifesta sotto sintomi quali dolore fisico, senso di torpore o stordimento, sensazione di dissociazione rispetto sl contesto, ecc.
  2. Accettazione: appare in modo graduale, a distanza di giorni dalla morte, quando la persona non è più così sconvolta e inizia a rendersi conto che d’ora in avanti dovrà vivere senza la presenza della persona cara.  Soprattutto all’inizio, questa costatazione può convivere con momenti di negazione in cui ci si “dimentica” che quella persona non è più viva.  È in questi casi che ci par di vedere il nostro caro in giro per strada o, se suona il telefono, pensiamo sia lui/lei.   In questa fase possono apparire emozioni come la tristezza (con un vero e proprio quadro depressivo); la colpa (per ciò che avremmo potuto fare mentre era in vita, per cose sbagliate che abbiamo fatto, per ciò che avremmo potuto fare per salvarlo); la rabbia (verso chi ha provocato la morte, che per alcuni sarà Dio, la natura, i medici, ecc.); fino ad arrivare a un vero e proprio senso di ingiustizia (nei casi di morti violente o per negligenze).
  3.  Accomodamento: man mano che la persona riconquista il suo equilibrio e si rapporta meglio con le sue emozioni, inizia a vedere le cose da un altro punto di vista.  In questa fase l’individuo cerca di affrontare i cambiamenti che comporta il suo nuovo sistema di credenze.

La durata di ognuna di queste fasi, così come quella del processo del lutto complessivamente è molto personale. Ognuno di noi può impiegarci più o meno tempo e, anche se spesso la società sembra non accettare tempi troppo lunghi, dobbiamo concederci tutto lo spazio  necessario per elaborare una perdita.
Nonostante ciò è importante poter distinguere un Lutto Normale da uno Complicato, poichè nel secondo caso (con maggior urgenza che nel primo) si richiede l’intervento di un terapeuta per aiutare ed accompagnare la persona in questo difficile cammino, affinchè non scaturisca in uno stato di malessere cronico.

LUTTO COMPLICATO

Nei casi di lutto complicato la persona sente che la vita senza il defunto è talmente compromessa che non riesce ad integrare ed elaborare la perdita ed andare avanti. In questi casi, la morte di un essere caro non solo è profondamente triste  ma arriva anche a perturbare il senso di chi si è, dei nostri progetti e dei nostri rapporti con il mondo.







Come riconoscerlo?   

  • Pensieri intrusivi sul defunto    
  • Mancanza della persona cara                                       Per almeno 6 mesi
  • Ricerca del defunto
  • Solitudine eccessiva dalla morte

  • Mancanza di obiettivi, senso d’inutilità rispetto al futuro
  • Senso di distacco o assenza di reazioni emotive
  • Difficoltà nel riconoscere la morte (incredulità)
  • Sensazione che la vita è priva di senso
  • Sensazione che sia morta una parte di noi
  • Visione disfattista del mondo (perdita del senso di controllo, fiducia e sicurezza)
  • Assumere i sintomi o le condotte distruttive del defunto
  • Eccessiva irritabilità, amarezza o angoscia relative alla morte 


In generale, la mancanza di un sostegno nei casi in cui la persona lo necessiti, può causare problemi significativi nelle aree sociali, professionali  e altre aree importanti del funzionamento dell'individuo. Per tali ragione è importante chiedere aiuto e farci guidare in un momento così difficile nella nostra vita, nel quale non abbiamo a disposizione tutte le risorse che potevamo utilizzare prima per affrontare le difficoltà. L’aiuto ci può arrivare dalla nostra rete sociale (familiari, amici, comunità) o figure professionali quali lo psicologo il quale potrà accompagnarci in un processo terapeutico lavorando insieme sull'elaborazione del lutto.


(Articolo di Sonja Sampaolesi)