viernes, 13 de abril de 2012

Il Coraggio di cambiare


Questo articolo è dedicato a tutti i miei pazienti e in generale a tutte le persone che cercano di trovare coraggio laddove credevano non ce ne fosse più. È dedicato a coloro che s’imbarcano in un processo di cambiamento che spesso per molti assume l’aspetto di un’avventura intrisa di misteri e timori. Nonostante ciò, queste persone riescono a trovare il valore di prendersi le responsabilità sul proprio passato, ma soprattutto sul proprio futuro.
Generalmente le cose non sono così semplici, almeno da un punto di vista terapeutico. Chi approda, a volte smarrito e a volte diffidente, dallo psicologo non lo fa con la piena coscienza di volere/dovere cambiare. In molti credono che lo psicologo, come per magia, possa far scomparire i problemi che ci causano un malessere o farci cambiare. Ma il pensare che un terapeuta ci voglia far cambiare è il primo di una lunga serie di concetti sbagliati, dovuti alla poca conoscenza di cosa è un percorso terapeutico.
Il primo passo del terapeuta è quindi quello di far comprendere al paziente che non avverrà (o egli non compirà) nessun “miracolo”, ma piuttosto si inizierà un cammino nel quale si lavorerà insieme.
Una delle necessità più frequenti è quella di aiutare la persona ad interpretare ciò che gli sta succedendo, spesso cercando di andare oltre i sintomi. È facile che se abbiamo un mal di denti ci recheremo subito dal dentista o se ci fa male una gamba andremo immediatamente dall’ortopedico. Più difficile è che al primo segnale di un malessere psichico ci si rechi dallo psicologo. Spesso ci si arriva dopo una convivenza più o meno lunga con il nostro “problema” e a volte ci viene in soccorso, accelerando i tempi, proprio quella che riteniamo la nostra peggiore nemica: la psiche. Essa infatti, quando si vede costretta a farlo, decide di trasmetterci il suo messaggio attraverso il corpo: sa che a lui lo ascolteremo!
Ecco perchè la maggior parte delle persone che arrivano allo studio di uno psicologo lo fanno spinte da sintomi fisici (dei quali loro stessi sospettano la componente psicosomatica) o disturbi d’ansia e attacchi di panico. Il corpo ci chiede di fermarci e di riflettere e la paura ci spienge a chiederci di cosa abbiamo realmente timore.
La nostra psiche è capricciosa e saggia come un bambino: se non la ascoltiamo con le buone inizierà a strillare e se necessario a gettare o rompere qualcosa, fino a che non le presteremo attenzione.

Una volta riconosciuto e interpretato il messaggio che noi stessi, in modo distrorto, ci siamo inviati, inizia il vero e proprio cammino verso il cambiamento. Spesso questo cammino richiede una prima ed importante presa di coscienza: quella di voler cambiare. Per i più non è affatto una cosa facile e noi psicologi, che sappiamo quanto sia complicato sia il deciderlo che il metterlo in pratica, abbiamo il dovere di stare vicini più che mai al nostro paziente per incoraggiarlo.
Dovremo avvisarlo del fatto che ci saranno momenti difficili e dolorosi, ma che lo accompagneremo in ogni tappa di questo processo e lo aiuteremo ad affrontare tutte le piccole e grandi difficoltà che sorgeranno e celebreremo insieme ogni piccolo grande passo in avanti.
L’ostacolo maggiore al cambiamento è che questo suscita nell’individuo una serie di emozioni vissute come una minaccia:
       Paura di soffrire: spesso si fa confusione e si percepisce come minaccioso qualcosa che non lo è, come ad esempio la tristezza, la rabbia, la delusione, ecc. In realtà non ci sono emozioni positive e negative, ma solo emozioni gradevoli e sgradevoli. A volte queste ultime, anche se tali, posso risultarci utili e funzionali a raggiungere i nostri obiettivi.  In molti casi, in terapia si affrontano situazioni difficili e spiacevoli che rendono questo percorso duro. Non è un cammino facile ma a volte il nostro benessere passa per momenti dolorosi e solo così si possono superare certi aspetti che influiscono negativamente nella  nostra vita. 
       Senso di insicurezza: ogni cambiamento rappresenta un piccolo lutto, una separazione con una parte di noi stessi che non ci è più funzionale. Nonostante ciò, è sempre difficile metter da parte quelle che fino ad allora abbiamo considerato le nostre risorse (seppur sbagliate) e trovarne di nuove. C’è sempre un momento in cui ci si trova in una fase intermedia nella quale ci togliamo di dosso l’”abito” che abbiamo indossato per tutta una vita e la ricerca e costruzione di un “abito” nuovo da indossare ci fa sentire, nel frattempo, nudi.
       Paura di ciò che è sconosciuto: valga il detto “chi lascia la via vecchia per quella nuova, sa cosa lascia ma non sa cosa trova” e, anche se la via vecchia è quella che ci ha portato spesso dove non volevamo... è l’unica che conosciamo. L’idea di non avere più una rotta con dei passi precisi ci destabilizza e a volte ci blocca. Inoltre, molti dei miei pazienti mi riferiscono una gran paura di come gli altri reagiranno di fronte al loro cambiamento. Se un cambiamento nella nostra persona e nei nostri comportamenti spaventa noi per primi, è assolutamente comprensibile che gli altri si possano sentir spiazzati davanti a una persona in un certo senso nuova.


 Questo spiega il blocco che sperimentano molte persone, ad esempio, per timore che il loro partner non le accetterà/amerà più, o che un amico dominante non vorrà più continuare a frequentarle se iniziano ad essere più assertive, o la paura che il capo che fino ad allora le aveva sottomesse e sfruttate possa licenziarle per il fatto di “alzare la testa”. Nella maggior parte dei casi è un cambiamento verso l’assertività (avere il coraggio di esprimere le proprie idee senza paura del giudizio e saper dire di no, in generale far valere i nostri diritti) che scatena le maggiori paure. È abbastanza lecito pensare che, se fino ad allora una persona ci è stata accanto per la nostra “disponibilità” (in realtà passività), al vederci nella nostra nuova “veste” possiamo non piacergli più. In questo caso si apre un’altra parentesi: ci interessa davvero che questa persona continui a starci accanto in quel modo? In altri casi invece bisognerà imparare ad aver fiducia nelle risorse degli altri, nell’accettare e adeguarsi ad un cambiamento. Dobbiamo tener presente che ogni gruppo o nucleo sociale (amici, famiglia, coppia) è dotato di una specie di autoregolazione che permette la stabilità e l’adattamento ai cambiamenti, tale per cui ad un cambiamento introdotto da uno dei componenti di questo “sistema” seguirà un cambiamento dell’altro o altri componenti. 
       Paura di eventuali conseguenze catastrofiche: spesso si pensa che un cambiamento nella nostra persona o nella nostra vita porti ad una rivoluzione totale di esse, cosa che viene percepita come catastrofica e minacciosa. Paradossalmente si arriva a pensare che, piuttosto che armarsi di coraggio e cambiare qualcosa, sia più facile cambiare e stravolgere direttamente tutto.  Ricordo una paziente che aveva dei pensieri ricorrenti: si chiedeva ossessivamente se in lei c’era una parte violenta che voleva venir fuori, una parte che avrebbe potuto aggredire fino ad uccidere qualcuno. Arrivammo alla conclusione che in realtà era in una fase di blocco: non riusciva ad avanzare perchè non accettava il suo bisogno di cambiare, lo respingeva perchè aveva paura che cambiare volesse dire recidere tutti i vincoli stabiliti fino ad allora. È come se si pensasse “se voglio essere una persona nuova, nuovo deve essere anche il mio mondo e devo uccidere quello vecchio”. Apprese che non c’è affatto bisogno di uccidere niente e nessuno per cambiare, piuttosto rinnovarsi e rinnovare il modo in cui ci rapportiamo con gli altri e che, se proprio vogliamo che qualcuno non faccia più parte della nostra vita... avrà anch’essa modo di elaborare il suo lutto.

Uno dei compiti del terapeuta è quello di aiutare il paziente ad individuare tutti i vizi mentali e verbali che li intrappolano in un’etichetta che rappresenta un ostacolo al cambiamento. Esempi: “Io sono sempre stata paziente”; “Ho sempre avuto uomini così”; “Non ho mai saputo dire di no”; “Quando parlo la gente non mi ascolta mai”, ecc. Pensare in termini assoluti di sempre e mai ci impedisce qualsiasi possibiltà alternativa, blocca già in partenza qualsiasi accenno di sperimentazione, anche fosse quella di provare ad immaginarci in modo diverso.
In molti casi, la persona pensa che voler cambiare implica l’ammettere di essere “sbagliati”. In realtà si tratta di un discorso ben più pratico che non deve sfociare in sensi di colpa. Semplicemente se qualcosa fino ad ora non ha funzionato, bisogna introdurre un cambiamento perchè funzioni in modo diverso. A tal fine, è fondamentale stabilire degli obiettivi e dei passi a seguire, con un ordine di propedeuticità o piuttosto di facilità. Non possiamo fare una torta se prima non compriamo e organizziamo gli ingredienti, così come non possiamo imparare ad essere degli scalatori iniziando direttamente con l’Everest.

Uno dei compiti dello psicologo è anche quello di aiutare il paziente ad ordinare in modo realistico e costruttivo questa lista di passi: è di fondamentale importanza che si parta da “compiti” che non provochino frustrazione, ma piuttosto senso di soddisfazione. Non c’è niente di meglio per qualsiasi impresa che una buona dose di autostima.
Durante questo processo la persona avrà anche l’opportunità di scoprire quali sono le sue nuove risorse, quelle da mettere nello zaino che la accompagnerà nella scalata verso la conquista dell’Everest. Per tale ragione, oltre a stabilire degli obiettivi ed esplorare le paure e desideri del paziente e individuare le vecchie risorse da lasciare a casa, lo psicologo lo aiuterà anche a scoprire quelle nuove con esercizi pratici.
Per concludere, oltre a tutto ciò che concerne la parte attiva del paziente (la riflessione, lo svolgere gli esercizi, la presa di coscienza e la revisione dei processi terapeutici), altri aspetti molto importanti sono quelli strettamente connessi alla figura del terapeuta. Nello specifico, la terapia avrà successo e favorirà i cambiamenti desiderati dal paziente se, oltre alla motivazione che egli ci metterà, si sentirà compreso dal suo terapeuta, sentirà che è un tipo di ascolto attivo, sentirà che può esprimersi liberamente e che la terapia lo aiuta ad esplorare possibilità di interpretazioni alternative.

(Articolo di Sonja Sampaolesi)

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